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Pietro Zennaro

Pietro Zennaro. Il valore del colore in architettura

Architetto, perfezionato in filosofia, professore associato di Design e progettazione tecnologica dell’architettura presso l’Università IUAV di Venezia, dipartimento di Progettazione e pianificazione in ambienti complessi. Ha insegnato anche presso il Politecnico di Milano, l’Università degli Studi di Ferrara e in alcune Università straniere. È responsabile scientifico dell’Unità di ricerca IUAV «colore e luce in architettura». Co-fondatore, vicedirettore e membro del comitato direttivo del Corso di diploma universitario in Disegno industriale (poi Facoltà di Design e Arti). Tra le varie associazioni è membro dell’Associazione Internazionale del Colore e dell’Environmental Colour Design Study Group. Svolge ricerche nel settore dell’innovazione e dell’espressività cromatica dei materiali e delle tecnologie per l’architettura e il design. Ha al suo attivo oltre 150 pubblicazioni quali Chromoland. Architectural Colour Design, Knemesi Verona 2012; Colore e luce in architettura: fra antico e contemporaneo, Knemesi 2010; Colour and Light in Architecture, Knemesi, Verona 2010; Il colore dei materiali per l’architettura, Progetto, Padova 2004.

Lei ha al suo attivo molte pubblicazioni dedicate al tema del colore e, quindi, la mia prima domanda è quasi scontata: cos’è il colore e, soprattutto, qual è il ruolo del colore in architettura?

Sembrerebbe estremamente facile dare una definizione e avere delle certezze. Ma il colore è un campo minato poiché è un territorio privo di confini; basta pensare che quelle che vediamo sono solo un’infinitesima parte delle frequenze «cromatiche» che riempiono la nostra galassia. Potremmo dire di essere quasi ciechi perché ne vediamo pochissime (circa un centinaio per un occhio ben allenato) e ne usiamo ancora meno. Il colore non è solo una percezione o un materiale, oppure una frequenza luminosa. L’unica definizione che mi sentirei di condividere è che il colore è cultura. Ogni epoca ha potuto, o voluto vedere e impiegare solo alcuni colori, accantonando l’infinità di variazioni di cui è costituito questo fenomeno visibile. Questo aspetto mi interessa particolarmente, poiché ti consente di leggere il passato e il presente attraverso un filtro privilegiato. Una sintesi di questo approccio l’ho indicata nel mio contributo per il libro Colore e luce in architettura: fra antico e contemporaneo, dove delineo per sommi capi l’evoluzione storico-culturale del colore che si dipana in 5 punti: colore sostanza; colore materiale; colore misura; colore cangiante; colore effimero. In architettura il colore rappresenta le superfici, le configura e le condiziona. Non vi è forma che eviti di essere interessata dal condizionamento cromatico, con buona pace dell’idea che l’architettura dovrebbe essere in prevalenza un’organizzazione di volumi. 

Quando rifletto sul colore in architettura il mio primo pensiero va a Villa Malaparte: il rosso dell’abitazione, il grigio della roccia, il verde della vegetazione, il blu del mare … per quanto mi riguarda rappresenta un esempio riuscito di dialogo cromatico tra costruito e ambiente. Condivide?

Lei porta un esempio di eccellenza, dove l’accordo cromatico costituito da due colori primari, un complementare e un acromatico conferisce all’ambiente un carattere di serenità percettiva. L’architettura è parte regolare nell’insieme naturale, dove l’azione umana interviene a dare ordine, obbligando chi vede l’opera a interpretare il paesaggio in un determinato modo. In questo caso, però, ritengo sia da mettere in partita anche un aspetto sicuramente non trascurabile e assai lontano dall’attuale realtà nazionale. Sicuramente Libera aveva cognizioni cromatiche molto diverse da quelle dei nostri architetti, avendo frequentato il Regio Istituto d’Arte «Paolo Toschi» di Parma, in parallelo ai corsi di matematica della locale Università, completando poi i suoi studi nella prima Facoltà di Architettura italiana, a Roma. Aveva nozioni e sensibilità che non si possono trovare con facilità. Lo stesso Malaparte, suo committente e presumibilmente il vero ideatore della villa, veniva da una famiglia dove il colore non era indifferente alla vita dei suoi membri. Il padre, difatti, era tintore. Inoltre il periodo storico in cui è stata realizzata richiedeva una cultura del gusto per gli abbinamenti cromatici e formali sicuramente lontani dalle nostre caotiche commistioni pseudolibere. I progettisti dell’epoca erano formati includendo conoscenze cromatiche che oggi sono lontanissime dai pensieri degli architetti, non si propone, infatti, nelle nostre scuole di architettura alcun corso sul colore. Infine, Villa Malaparte fu un cenacolo di intellettuali e sarebbe stato scandaloso evitare l’uso di una sapienza cromatica, che all’epoca aveva sicuramente anche un risvolto politico.

Lei afferma che «il colore nasconde qualcosa che sta sotto e che nel frattempo privilegia, fornisce un senso o un significato a ciò che protegge. Quanto celato all’evidenza contiene una virtù, una qualità, un aspetto comunque positivo»: quali sono le qualità più frequentemente celate dal colore?

Questa affermazione deriva dalla lettura di un libricino della Marguerite Yourcenar, una meditazione poetica e nello stesso tempo filosofica dal titolo: Scritto in un giardino. Il colore è un fenomeno che si colloca esclusivamente all’esterno delle cose. Tutto ciò che è celato alla vista, però, costituisce il motivo della presenza di un limine superficiale che ci fornisce il motivo della presenza di ciò che sottende il rivestimento cromatico. Sotto il colore, quindi, vi è sempre qualcosa che fornisce il pretesto al colore stesso di esistere. Già questo fatto è di per sé positivo, una qualità della quale spesso non si tiene conto. Il colore nasconde, dissimula altri significati, quando usato culturalmente, quelli che non sono rivolti a tutti. Come uno scrittore si sceglie i suoi lettori, così chi usa il colore con sapienza, trasmette messaggi che sono indirizzati a soggetti diversi, capaci di percepire l’intimo. La volgarità che spesso è frutto di ignoranza, consiste nella esteriorizzazione smisurata o dell’eccesso. Qui il colore risulta facile strumento gratuito. Trasmettere messaggi che abbiano una qualità nascosta è faccenda forse caduta in disuso, ma certamente ancora viva. Nietzsche sottotitola «Così parlò Zarathustra: un libro per tutti e per nessuno»: oggi il colore è per tutti e per nessuno.

Ci sono progettisti, come per esempio Sauerbruch Hutton e 3XN, che non colorano le architetture ma creano architetture colorate, per citare Piero Bottoni. Quali sono i progetti o i progettisti che fanno un uso maggiormente efficace del colore?

Molti sono coloro che fanno largo uso del colore nelle loro architetture e che pensano il progetto in termini cromatici contemporaneamente alla soluzione architettonica. Oltre a quelli citati non posso dimenticare Jean Nouvel, Herzog & De Meuron, MVRDV e molti di quelli che popolano le riviste patinate di architettura. Alcuni operano texturizzando le pareti e altri raccolgono la sfida attribuendo al colore un maggiore ruolo nella definizione degli spazi, sfruttandone appieno gli effetti che può produrre. Uno di questi è per esempio il francese Dominique Coulon, che trasforma le geometrie attraverso indicazioni cromatiche che mutano la percezione spaziale. Un altro è il portoghese João Pernão, che usa la riflessione per colorare l’interno degli spazi architettonici. Ma non dimenticherei il colore che si spalma letteralmente sull’ambiente, come usano i Topotek, oppure il nuovo fenomeno dell’illuminazione architetturale, che pian piano si sta espandendo sempre più regalandoci notti molto più affascinati del giorno. Le sperimentazioni avvenute a Vienna, Berlino, Lione, ma anche a Torino ci riportano a questa parte del fare architettonico non ancora adeguatamente affrontato. Forse la realtà aumentata sta conquistando l’architettura della notte, laddove il gioco sapiente dei volumi sotto la luce viene sotterrato sotto i bombardamenti delle proiezioni, dei laser e dei site specific. Voglio ricordare una coppia che vive a Roma, gli Elastic Group, capaci di riconfigurare le architetture mediante segni culturali di un certo interesse.

Ogni Paese è connotato da proprie cromie dovute alle condizioni naturali e all’elaborazione culturale che gli abitanti hanno sviluppato durante la propria storia. L’Italia è sicuramente connotata cromaticamente dal laterizio: quale valore attribuisce al colore di tale materiale?

Tradizionale è tutto ciò che ha avuto il tempo di adattarsi e perfezionarsi nel tempo. Il laterizio, nelle costruzioni dove la materia prima, l’argilla, era abbondante e di qualità è divenuto il materiale principe connotando il paesaggio antropizzato in maniera così forte che persino oggi risulta difficile distaccarsene, pur sapendo che abbisogna di notevoli quantità di energia per essere prodotto. Il laterizio è anche il più antico materiale che l’uomo ha realizzato artificialmente e al quale ha attribuito un significato importantissimo. In origine il vaso di terracotta costituiva la casa dell’eternità, ebbi a dire in «Architettura» senza che qui sta la vera origine dell’architettura. Presso gli antichi egizi l’uomo indicava i suoi vasi in terracotta come la propria casa e questa, prima dell’avvento della vetrina colorata era evidentemente del tipico colore rosso cupo. In questa nostra nazione i Romani antichi hanno saputo ottimizzarlo e distribuirlo su tutti i territori conquistati. Il suo colore riveste sicuramente la maggior parte dei tetti e certe città lo espongono orgogliosamente sulle pareti, dimostrando la grande capacità che ha questo materiale di saper trasmettere messaggi. Credo che sia il materiale più naturale che abbiamo a disposizione alle nostre latitudini e l’energia che viene spesa per la sua realizzazione è sicuramente ripagata dalla sua durata. Forse non siamo consci del fatto che è un materiale che è inoculato nel DNA delle nostre città e delle campagne. Il rosso cupo delle pareti in accordo con il verde dei campi produce un effetto di rilassamento psicologico che difficilmente è riproducibile con altri abbinamenti. In un certo senso siamo cresciuti respirando il rosso mattone e quando non è presente, magari in maniera subliminale ci manca. Basta fare un viaggio nelle città dell’internazionalismo per rendersi conto di quanto questo particolare colore è capace di farci sentire a casa.

Adolfo F. L. Baratta
Ricercatore, Università Roma Tre