La versatilità del laterizio ha consentito di recuperare l’ottocentesca Torre dell’arsenale di Venezia: il rapporto tra passato e presente è stato declinato nella dissonante dialettica tra i nuovi materiali e quelli esistenti
La torre di alberatura dell’Arsenale si trasforma da “macchina per alberare i vascelli” in centro culturale e di ricerca, con un progetto che coniuga la conservazione e la valorizzazione storica dell’albero maestro con uno spazio incubatore della contemporaneità.
La nuova destinazione (spazio espositivo, centro culturale e di ricerca) apparentemente diversa da quella originaria ne evoca simbolicamente la funzione diventando perno ideale dell’Arsenale nel suo complesso e dalla sua copertura si ha una immagine straordinaria di Venezia e della laguna. I nuovi materiali dialogano con le preesistenze attraverso un linguaggio stilistico e formale dissonante rispetto alle trame e campiture delle strutture murarie storiche [1]. Il laterizio, materiale flessibile e versatile, icona della maestria della tradizione costruttiva italiana, si presta ad una contaminazione con materiali “contemporanei” preservando l’identità storica e formale dell’architettura, come dimostra il progetto di MAP Studio che ambisce a diventare un esempio nella re-interpretazione di un modello storico.
L’Arsenale e la sua storia
L’Arsenale di Venezia, “uno dei più belli del Mediterraneo” scriveva il generale francese Serrurier che l’aveva occupato nel maggio 1797, ha una storia di trasformazioni, la cui stratificazione ha prodotto un palinsesto ricco di segni, materie e significati. Il primo nucleo nasce agli inizi del XII secolo nella parte est della città, nel sestiere di Castello, seguono la realizzazione, all’inizio del 1300, della Darsena Nuova e, a metà del 1400, della Darsena Nuovissima. La Darsena Grande è dell’inizio del XVI secolo. I continui ampliamenti rispondevano alle mutate esigenze di tipo cantieristico e all’evoluzione delle tecniche costruttive, alla specializzazione delle diverse fasi costruttive e alla crescente standardizzazione della produzione. Ampliamenti e trasformazioni entravano in relazione con il tessuto urbano circostante che ricevette impulso e sviluppo nelle parti adiacenti alle mura proprio dalla presenza del cantiere [2].
Se la caduta della Serenissima in mano francese prima e austriaca poi, rappresentò una battuta d’arresto dell’espansione dell’Arsenale, non mancarono altre trasformazioni: tra queste la più significativa fu l’edificazione tra il 1810 e il 1813 della “Torre di Porta Nuova”, una “macchina per alberare” la cui denominazione deriva dalla posizione di presidio dell’ingresso alla Darsena Grande.
Una presenza imponente per le dimensioni (35 metri di altezza dalla quota della banchina) e per la compattezza del sistema murario in laterizio, secondo il modello d’Olanda, che contiene un grande cavo vuoto all’interno. Ma non venne realizzata sulla sommità della torre la gru per alberare e così la “macchina” non fu mai utilizzata e ben presto divenne obsoleta per l’evoluzione delle tecniche costruttive navali. Più di recente, il secondo dopo guerra ha consolidato per lungo tempo la decadenza dell’arsenale, arrestata solo nel 1980 in occasione della prima Mostra Internazionale di Architettura organizzata dalla Biennale; la “Strada Novissima”, mostra centrale di quell’edizione, trovò spazio proprio nelle Corderie dell’Arsenale per la prima volta aperto al pubblico. La qualità dello spazio e non solo le dimensioni furono il “contenitore” adatto per la realizzazione di venti facciate, progettate da altrettanti autori e concepite come quinte teatrali di una strada urbana, architetture dentro un’architettura più grande [3].
La destinazione di parti consistenti del complesso dell’Arsenale a funzioni espositive legate alle attività della Biennale ha riattivato un processo d’uso e di trasformazione così come la storia dell’Arsenale testimonia.
La contemporaneità non si è sottratta, forse questo è uno dei rari casi nei quali il recupero e soprattutto il riuso, nel senso di nuovi utilizzi che determinano nuovi cicli di vita sembrano rinnovare principi evolutivi e di trasformazione propri della città.
Il progetto per il recupero della Torre
La Società Arsenale di Venezia S.p.A., società costituita dal Demanio e dal Comune di Venezia, nel 2006 ha bandito un concorso per il recupero della Torre Porta Nuova; l’iniziativa era parte di un programma più ampio che prevedeva in origine anche altri tre interventi, per il recupero di due delle Tese (105 e 113) e per un nuovo ponte mobile. Dei quattro, solo l’intervento di recupero della Torre è stato finora ultimato ed aperto al pubblico. Il progetto vincitore è dello MAP Studio di Francesco Magnani e Traudy Pelzel e l’opera realizzata è risultata all’altezza delle attese della committenza e del pubblico.
Il programma posto alla base del bando indicava quale nuova destinazione della Torre un polo culturale; durante la realizzazione dell’opera, l’edificio è stato inserito nel progetto europeo Second Chance dedicato al rilancio di edifici e siti industriali dismessi per i quali si individua la possibilità di trasformazione in spazi creativi mediante attività culturali e alla Torre è stato assegnato il ruolo di centro per la ricerca scientifica, storica e culturale relativa all’Arsenale. La complessità e la delicatezza del programma - sala conferenze, sala espositiva, laboratori, biblioteca, uffici e un articolato e ricco sistema di percorsi interni - hanno rappresentato una sfida impegnativa per i progettisti, vinta adottando una strategia e scelte progettuali in grado di definire chiare relazioni tra le nuove opere e l’edificio preesistente.
La Torre è composta da due volumi sovrapposti di cui il secondo di dimensioni ridotte rispetto al sottostante; presenta una pianta tripartita: uno spazio centrale di forma rettangolare “serve” due porzioni laterali, una di forma rettangolare, l’altra trapezoidale.
Al secondo livello, lo spazio interno si ricompone, i muri di spina si aprono in due grandi archi ogivali, per poi proseguire fino a determinare il volume soprastante destinato ad ospitare originariamente la gru per “alberare”. La strategia adottata si fonda sul riconoscimento della forza iconica della Torre - da non considerare dunque come un neutro contenitore - e sull’interpretazione dell’unità spaziale e della continuità verticale interne [4].
La nuova architettura è separata, indipendente, ma non autonoma dall’edificio che la contiene: tutti gli spazi, gli elementi, i volumi sono distinti, staccati e separati dall’involucro originario, anche i percorsi e le scale sono strutturalmente e volumetricamente indipendenti dalle murature. Magnani e Traudy disegnano una sequenza sostenuta dal continuum spaziale e funzionale delle scale, scelgono materiali che per trama e campitura entrano in risonanza con la tessitura delle murature in laterizio, utilizzano la luce naturale come interfaccia tra l’involucro ed il contenuto [5].
Al piano terra l’atrio, d’ingresso centrale distribuisce gli uffici e la sala conferenze, se i primi sono ricavati nello stretto spazio laterale compreso tra il muro perimetrale ed uno dei due di spina centrali, la sala conferenza si espande nello spazio di forma trapezoidale ed è contenuta da un involucro continuo nelle pareti e nel soffitto: “lo spazio dentro lo spazio”. Tra la sala e il muro perimetrale “lato banchina” una scala pubblica conduce al primo livello, il più ampio dell’intera costruzione, destinato da programma ad attività espositive. Uno spazio vuoto ed imponente “misurato” dalla presenza dei due grandi archi ogivali e di una antica scala in legno, originario collegamento verticale della Torre. Sul fondo, tra il muro di spina e quello perimetrale una nuova scala costituita da rampe e ballatoi conduce al livello superiore. Concepita come una successione di volumi in acciaio cor-ten sospesi dall’alto è una vera e propria macchina percettiva: la “pesantezza” visiva dei parapetti metallici contrasta con le lame di luce provenienti dall’alto.
Questa scala conduce ad uno spazio destinato ad ospitare una sala studio, ottenuto introducendo un nuovo piano sostenuto da una trave reticolare di forma triangolare irregolare rovesciata verso il basso così che da sotto, la carenatura irregolare del rivestimento di cor-ten suggerisce l’effetto di scocca sospesa, anch’essa staccata dalla muratura in laterizio faccia a vista. Continuando a salire, si entra nel volume terminale della torre interamente occupato da una rampa che conduce al terrazzo di copertura. Si tratta di un ulteriore dispositivo che arricchisce l’esperienza dello spazio: la rampa, così come è avvenuto precedentemente per le scale, viene percepita come un elemento volumetrico piuttosto che come piano inclinato ascendente, indipendente e investito dalla luce naturale che proviene dall’alto.
La scelta di sagomare le falde della copertura in modo da consentire la penetrazione della luce dall’alto rappresenta un dispositivo alla base della dialettica con la quale il progetto del nuovo si relaziona con la preesistenza storica, non per sottolinearne l’alterità, ma per rinnovarne la vitalità spaziale, indispensabile per un programma di riuso che punta ad un nuovo ciclo di vita dell’edificio [6]. La luce naturale è qui sostanza materiale dell’architettura e concorre a delineare i caratteri di una nuova architettura incorporata in un’altra. Altro che alterità, costruendo all’interno di un’altra architettura si afferma un principio di continuità di cui non è pensabile la fine. L’oggetto che rincorre un altro oggetto descrive una successione: la ripetizione di elementi, spazi, volumi nella torre. C’è un nuovo programma che occupa il vuoto, c’è un’articolazione spaziale che si “sostanzia” in diversi elementi autonomi (scale, rampe, volumi) che provocano interrelazioni spaziali riassunte nel concetto di “incorporazione”.
Si ringrazia per la collaborazione l’Arsenale di Venezia S.p.A.
Scheda tecnica
Oggetto: | Torre dell’Arsenale |
Località: | Venezia |
Committente: | Arsenale di Venezia S.p.A. |
Progetto architettonico: | MAP Studio – Francesco Magnani e Traudy Pelzel Architetti Associati |
Collaboratori: | Matteo Sirinati |
Impianti: | Studio Associato Vio |
Progetto strutturale: | Zero4uno Ingegneria S.r.l. |
Impresa edile: | Sacaim S.p.A. |
Cronologia: | 2006 (concorso); 2007-2008 (progetto); 2009-2011 (realizzazione) |
Superficie: | 800 m2 |
Costo complessivo: | 4.137.355,37 euro |
Fotografie: | Orch\Chemollo, Udo Mainel |