Già professore ordinario di Fisica Tecnica Ambientale al Politecnico di Milano, Federico M. Butera si occupa di energia e fonti rinnovabili. Ha partecipato all’International Energy Agency, è consulente dell’Onu e della Banca Mondiale. Vincitore del World Renewable Energy Network come «Pioneer for Contributions in Renewable Energy» e dell’Eurosolar per energia solare e architettura sostenibile.
Con la Legge n. 90 del 2013 viene recepita in Italia la cosiddetta «EPBD2» che disciplina la prestazione energetica in edilizia e mette in atto la «rivoluzione» dell’edificio di riferimento. Si tratta di un passaggio fondamentale per il futuro delle costruzioni, sulla scia del trend, in atto dal 2005, orientato al contenimento di consumi energetici ed emissioni climalteranti, con attenzione al confort e salubrità.
Costruire in Laterizio dedica un intero numero all’architettura Nzeb (quasi) a consumo zero, o che produce addirittura energia, per aprire un dibattito su un diverso modello di sviluppo delle città. N come Net o come Nearly?
L’IEA (International Energy Agency) ha da tempo stabilito che gli edifici Nzeb sono solo Net. Va infatti considerato tutto il consumo energetico dell’abitazione, climatizzazione estiva ed elettrodomestici inclusi, compensando con fonti rinnovabili. Ciò nasce dalle esperienze dei pochi NZEB realizzati nel mondo: si è scoperto che consumano talmente poco che la percentuale maggiore è dovuta agli elettrodomestici. Per esempio a Friburgo (D), nel «Solar Settlement», un piccolo quartiere a energia zero, emerge da monitoraggi accurati che i consumi sono dovuti per il 70% a elettrodomestici e illuminazione e per il 30 % ad acqua calda e riscaldamento. Oggi continuiamo a ragionare con criteri di 100 anni fa. Perché non certificare a consuntivo? Ecco, Nzeb ha senso solo se misuro tutti i consumi.
Cito una sua metafora: «la stessa musica non va bene per tutte le sale da concerti». Gli edifici a risparmio energetico di modello nord europeo, oggi di «moda», funzionano anche nei nostri climi? Di recente autorevoli testate tedesche e inglesi hanno molto criticato l’«iper-isolamento». Anche da noi questa strategia potrebbe non pagare?
Il Mediterraneo differisce da luogo a luogo, non abbiamo unico clima: l’Italia come la Spagna è un Paese mediterraneo, ma da una parte ci sono le Alpi e dall’altra i Pirenei, noi abbiamo Agrigento e loro Siviglia. Mentre a Bolzano si può prendere qualche riferimento dai modelli nordici, per altre località non è possibile: basta pensare alla marcata differenza dell’estate rispetto al nord Europa. Ho sempre cercato di far comprendere agli allievi che tutto va sempre contestualizzato e non esiste una ricetta universale. Per esempio, la ventilazione naturale in estate ha senso se la temperatura esterna è più bassa di quella interna. A Palermo, se in estate con 32°C apro le finestre, faccio entrare calore e dunque devo aprire di notte. Magari uso comunque la ventilazione naturale perché aiuta a traspirare meglio. A Londra o a Berlino, dove in estate la temperatura esterna è di 18 gradi, anche di giorno posso smaltire i carichi termici solari che riscaldano le abitazioni. Ancora: il doppio vetro, nell’estremo sud si ripaga solo dopo 20 anni, per cui posso usare prodotti meno performanti; ma in città posso usarlo per problemi acustici. Concludendo, è necessario un approccio diverso da quello della maggiore parte dei manuali sulla materia, sviluppati spesso per climi diversi. L’isolamento portato alle estreme conseguenze non ha senso e va rivista l’impostazione classica in materia.
Spesso si parla di energia e risparmio trascurando comfort, salubrità e sostenibilità ambientale. Riteniamo che tali aspetti siano intrinsecamente legati e debbano camminare di pari passo in una progettazione integrata. Si può continuare a trattarli in maniera indipendente?
Sono aspetti tra loro connessi e non si può trattarli separatamente. D’altro canto come progettisti dobbiamo di nuovo imparare: avevamo regole consolidate da secoli che miravano a livelli di comfort accettabili 50 anni fa, ma non oggi. Era normale sentire un po’ di freddo in inverno e bastava una stufa nelle stanze abitate, ed era normale sentire un po’ di caldo in estate. Oggi ciò è inaccettabile, è cambiata la nostra percezione: in inverno con meno di 21°(intendendo temperatura dell’aria ovvero 20°C come temperatura operativa) si ha disagio. Dunque le regole vanno ricostituite e per fortuna possediamo gli strumenti, anche se purtroppo non li adopera nessuno. Cosa deve fare il progettista? Deve analizzare, ottimizzare, calcolare caso per caso: le soluzioni sono tutte diverse. Anche se l’uomo è tendenzialmente uguale, come struttura, ciascuno ha bisogno di vestiti su misura e la stessa cosa vale per gli edifici. Ancora, ogni giacca ha la sua manica, i suoi bottoni e ogni casa ha le sue finestre e i suoi muri. In tutto questo, il comfort è l’elemento centrale e dobbiamo saperlo valutare. Quali condizioni di comfort ho in un dato edificio? Quanta energia devo consumare per ottenerlo, tenendo debitamente conto dell’estate? Dovremmo anche considerare i principi del «comfort adattativo»: se per un abitante di Oslo 25° rappresentano un caldo insopportabile, per quelli di Roma, Napoli, Palermo con 25° si sta più che bene. Spesso basterebbe usare un semplice ventilatore per alzare di un paio di gradi la temperatura di comfort e consumare meno.
Ancora una volta il normatore trascura l’annosa problematica estiva! È possibile una via mediterranea per le costruzioni ecologiche a consumo quasi zero? Che risposta possono dare la massa e l’inerzia termica in termini di comfort e risparmio?
Quando si progetta non si può solo «mettere una crocetta», questo l’hai fatto e questo no. Non ci si può limitare a usare uno strumento «grossolano» che si appoggia ai valori medi mensili, aggiungendo la problematica estiva. L’errore è a dir poco colossale, per cui è indispensabile progettare energeticamente con un modello di simulazione. Nel 2000 in California fu varata la prima certificazione energetica degli edifici, basata su una valutazione preventiva dei consumi mediante un modello di simulazione dinamica con il Doe 2 (oggi si fa con l’energy plus) e in assenza di simulazioni dinamiche si hanno criteri molto rigidi per pareti, vetri, ecc. Si utilizza l’edificio di riferimento che è il «tuo» edificio, a cui si applicano le prescrizioni rigide e su cui il modello di simulazione calcola automaticamente il consumo, restituendo quello massimo ammissibile; infine il progettista si adopera come meglio crede per raggiungerlo. Puoi fare in sostanza quello che vuoi, anche tutte le vetrate a ovest, se riesci a risolvere il problema del carico termico in estate o delle dispersioni in inverno, e così si fa anche in Spagna, Portogallo, Francia, Cina. Non in Italia: noi adoperiamo l’approccio tedesco/svedese dove «lavorare» solo sulla trasmittanza è perfetto perchè è preponderante l'inverno. Non ci siamo! Se il progettista usa tutti gli strumenti di calcolo a disposizione farà sicuramente un buon progetto o perlomeno ha tutto per farlo. Allora, il legislatore deve solo dire qual è il limite, ma non come fare a rispettarlo. Conseguenza della direttiva Epbds recast è che tutti gli edifici costruiti dal 2020 o ristrutturati avranno come impatto energetico sul sistema terra soltanto l’energia consumata dell’edificio ma anche quella incorporata, il che non è irrilevante. Allora può il progettista non occuparsi di tale aspetto? Può non considerare che usare un materiale rispetto a un altro fa la differenza? Ovviamente non potrà più farlo. L’edificio sostenibile nella fascia equatoriale africana non ha nulla a che vedere con l’edificio sostenibile mediterraneo; regole da noi canoniche, per dire una banalità, come proteggere dal sole le pareti a sud, sono ribaltate all’equatore: il sole sta per sei mesi nel quadrante sud e per sei mesi in quello nord. Cambia tutto! Nelle abitazioni una certa quantità di inerzia termica è benvenuta sia in inverno che in estate, il calore o il fresco sono di «qualità migliore». Io abito in una casa costruita alla fine dell’800 con muri di oltre 40 cm di spessore e non sento l’esigenza dell’aria condizionata in estate, avendo cura di tenere chiuso di giorno e aperto di notte. L’inerzia è indubbiamente centrale, ma bisogna valutare quanta ne serve caso per caso. Un edificio residenziale leggero non è ottimale. Abbiamo un altro fattore positivo: la cosiddetta «inerzia stagionale». Si ritarda in pratica il momento in cui si sente il bisogno di raffreddare: nei primi giorni di caldo la casa inerte-pesante è ancora fresca per un poco (per 7-10 giorni) e, viceversa, in inverno nei primi giorni di freddo la casa rimane più calda. Negli edifici non residenziali invece bisogna ovviamente fare altri ragionamenti.
Nel suo saggio «Dalla caverna alla casa ecologica: Storia del comfort e dell’energia» si evidenzia che si può costruire per risparmiare energia e vivere meglio. Cosa significa oggi realizzare una casa ecologica?
Un sistema ecologico è dinamico, caratterizzato da estrema complessità, dotato di sensori, attuatori, reazioni: se c’è siccità, i singoli componenti si riaggiustano per superarla. Fino a oggi, non avevamo la capacità tecnologica di fare una casa come un sistema dinamico. Io vedo la casa ecologica come estremamente sofisticata, dotata di una pelle che varia le sue caratteristiche in funzione delle condizioni istantanee esterne e interne, come le cambia la pelle dell’uomo in funzione della temperatura esterna e dell’attività, grazie a un «cervelletto» che comanda tutto. La casa ecologica non è la casa con i muri di paglia o con l’intonaco fatto di materiali sani. Questi sono accessori. La casa ecologica è una casa ben progettata, come lo è un organismo biologico, con dei sistemi di controllo, che non sia necessariamente indifferente a quello che succede fuori. La casa ecologica del futuro è, abusando della parola, smart -intelligente-, capace di reagire istante per istante. Attenzione, quindi, niente tuffi nel passato se non per prenderne spunti e principi.
Abbiamo perso progressivamente alcune conoscenze insite nell’architettura mediterranea «tradizionale», che erano nel Dna di progettisti e dei «muratori», come le camere dello scirocco palermitane o la climatizzazione naturale nelle aree mediorientali volte al comfort estivo. Questi sistemi potrebbero essere efficaci ancora per evitare impianti energivori e garantire il comfort negli edifici?
Tali principi sono fondamentali: quello della camera dello scirocco è la temperatura radiante, cioè, l’aria era fresca non tanto perché fosse molto più fredda dell’esterno (la stanza era aperta e ventilata), ma perché essendo sottoterra la temperatura delle pareti era inferiore ai 20°C e, quindi, la temperatura operativa, che è la media tra temperatura dell’aria e radiante, permetteva di avere le condizioni di comfort. Questo è il punto. La temperatura radiante, sottovalutata o addirittura sconosciuta in molti casi, è essenziale. È il motivo per cui una larga superficie vetrata è una sciagura dal punto di vista del comfort: in inverno è fredda; in estate (anche se il sole non è diretto) la radiazione diffusa riscalda i vetri di 5-7°C e a quel punto abbiamo una superficie radiante calda. In ogni caso dobbiamo consumare energia per ristabilire il comfort richiesto. Abbiamo molti altri semplici insegnamenti: la persiana ombreggia, il colore chiaro della parete è meglio in una zona in cui l’estate è preponderante, il tetto ventilato è essenziale (non esiste una casa costruita prima del XX secolo che non lo avesse, è sbagliato non prevederlo e sono costretto a mettere spessori elevati di isolante). Concludendo: basta dimensionare opportunamente e utilizzare gli strumenti a disposizione.
L’analisi costi-benefici associata alle valutazioni di tipo energetico verifica se i costi di investimenti possono essere compensati dalla riduzione di gestione. La durabilità degli edifici è fondamentale per tale valutazione. Ritiene che anche la casa possa passare dall’essere un bene da tramandare da padre a figlio, all’essere un bene di consumo?
È una forma di lento suicidio, purtroppo. È il modello americano della casa usa e getta. Ma una casa deve assolutamente durare più di una generazione! Oggi abbiamo bisogno sempre più di «pesanti» interventi di riconsolidamento, si pensi al c.a. costruito nel dopoguerra: i ferri si ossidano, il cemento si sgretola. A una casa in muratura non capita. Il dramma economico globale in cui oggi ci troviamo è frutto anche dello spostamento dei tempi degli investimenti industriali, infrastrutturali ed edilizi: si è passati da 60 a massimo 15 anni. Chi può investire con questi tempi di ritorno economico? Oggi nessuno lo fa più! Nella storia dell’uomo «economicus» non è mai successo. Bisogna tornare a investire per le generazioni future e, quindi, la durabilità della struttura edilizia non solo è essenziale, ma riveste un forte ruolo etico: i nostri figli non devono ricostruire quello che noi abbiamo già fatto, consumando risorse che abbiamo già usato.