Massimiliano Condotta (Venezia, 1973). Architetto e dottore di ricerca in “Architettura, città e design” presso l’Università Iuav di Venezia, è attualmente professore Associato in Tecnologia dell’architettura presso lo stesso ateneo. Svolge attività di ricerca su temi relativi a sostenibilità e progettazione ambientale e all’uso di tecnologie innovative e ICT per l’ambiente costruito. Negli anni ha lavorato anche come libero professionista in qualità di progettista e responsabile del coordinamento di diverse competenze specialistiche.
A Venezia, come nel resto del Paese, nell’ultimo periodo si sta cercando di dare risposta a una domanda da tempo irrisolta, quella dell’accoglienza studentesca. L’Italia è molto indietro rispetto a Paesi come la Francia e la Germania, anche se aumentano i finanziamenti europei e nazionali per la costruzione di residenze universitarie. Qual è il suo parere in merito? In che modo il progetto delle residenze di San Giobbe si inserisce in tale contesto?
Il progetto delle residenze di San Giobbe è stato possibile grazie a un finanziamento ministeriale (Legge 338/2000 – Richiesta cofinanziamento per alloggi e residenza per studenti universitari) senza il quale lo stesso non sarebbe stato immaginabile.
Lo studio di fattibilità tecnico-economica aveva evidenziato fin da subito il fatto che l’investimento non avrebbe ripagato i costi di costruzione nel medio-lungo periodo a partire da una prima fondamentale considerazione, ovvero che i costi di realizzazione di un qualsiasi edificio costruito nella Venezia insulare risultano in media più alti del 30% rispetto a quelli per la costruzione di un edificio sulla terraferma.
Inoltre, il contributo dell’allora MIUR e una progettazione attenta all’ottimizzazione degli spazi, al fine di ricavarne il maggior numero possibile di alloggi e di conseguenza garantire più introiti, non sarebbero bastati per consentire la gestione della residenza e assicurare tariffe adeguate agli studenti. Per questo motivo, nei periodi estivi l’ente gestore tiene aperta la possibilità di fittare a turisti le stanze non occupate, una scelta eticamente discutibile ma necessaria per assicurare un equilibrio economico complessivo.
A seguito di queste considerazioni sulle residenze di San Giobbe si deduce quanto finanziamenti europei e nazionali – non ultimo lo stesso PNRR con la Riforma 1.7 della Missione 4 Componente 1 – svolgano un ruolo essenziale per consentire, anche nel nostro Paese, un incremento di posti letto e spazi residenziali di qualità per la popolazione studentesca, in lento ma costante aumento.
Oltre a essere progettista, svolge attività di ricerca e di didattica come professore associato presso l’Università Iuav di Venezia. Dalla sua esperienza di docente, sono emersi spunti e suggestioni nel corso di questi anni per comprendere meglio le esigenze della popolazione studentesca? In merito al team di progetto, invece, quale ruolo ha svolto e in che modo è stato coinvolto nell’iter progettuale?
La conoscenza del mondo degli studenti è di certo servita durante la progettazione delle residenze, fase in cui si è cercato di conciliare dimensioni degli spazi e tipologie di servizi che si stavano pensando per il campus e le residenze.
Il progetto del campus, in particolare il progetto relativo agli edifici per aule, biblioteca e dipartimenti, è durato a lungo nel tempo e negli anni la stessa Università Ca’ Foscari – committente del progetto – ha modificato le sue richieste in termini di nuove esigenze, come ad esempio la necessità, legata alla programmazione didattica e non solo, di nuovi spazi o comunque diversi da come erano stati pensati in origine (il n. di aule, la dimensione dei posti all’interno delle aule, nuove strumentazioni, ecc.), motivo per cui tali edifici sono stati oggetto di aggiornamento specifico del progetto.
Successivamente si è aggiunto l’ultimo tassello al progetto, ovvero le residenze universitarie inaugurate poi nel dicembre 2021, data a partire dalla quale sono stati accolti i primi ospiti. Si tratta infatti di un progetto unitario complesso nato nel 1986, anno in cui Ca’ Foscari decide di insediare l’intero campus di Economia, la facoltà storica dell’ateneo veneziano, nell’area di San Giobbe con l’obiettivo principale di riunificare le numerose sedi di economia in previsione dell’arrivo in quell’anno di oltre 6.000 nuovi iscritti. L’area individuata necessitava essa stessa di importanti operazioni di riqualificazione e recupero del tessuto urbano.
Il progetto viene affidato agli architetti Romeo Ballardini e Vittorio Spigai, entrambi professori presso lo IUAV in quegli anni, ed è articolato in tre fasi attuative che hanno previsto sia opere di recupero-restauro di alcuni ex edifici industriali che di nuova edificazione. L’intervento è quindi diventato via via sempre più complesso, richiedendo nuove figure e competenze specialistiche, tra cui ingegneri strutturisti e impiantisti, figure fondamentali per la definizione dell’intero progetto. A partire dal 2002, in quanto collaboratore presso lo studio del prof.re arch. ing. V. Spigai, sono stato coinvolto con ruolo di coordinamento del progetto esecutivo-architettonico e dell’integrazione delle attività specialistiche degli altri professionisti (tra cui arch. Maurizio Brufatto, ing. Fausto Frezza e ing. Pierluigi Da Col rispettivamente per atti amministrativi e progettazione esecutiva, progettazione strutturale, progettazione impiantistica e prevenzione incendi).
L’area in cui sorge il campus di San Giobbe è stata spesso considerata geograficamente “marginale” anche se viene annoverata come la “porta” di Venezia insulare dalla terraferma. Un’area, inoltre, intrisa di valore architettonico visto che qui Le Corbusier aveva immaginato il nuovo ospedale della città. Qual è stata la relazione con l’area e con questo passato progettuale così importante e in che modo l’intervento – che è durato oltre 30 anni – ha affrontato le nuove e antiche sfide rispetto a questa parte di città?
L’allora rettore di Ca’ Foscari Giovanni Castellani aveva scelto l’area di San Giobbe, marginale e degradata fino agli anni Ottanta, consapevole che la realizzazione del campus e delle residenze avrebbero permesso di dare una nuova vita a tutta la zona. Di fatto, l’intervento ha permesso la riqualificazione dell’area e restituito una sua dignità a una delle prime zone della città lagunare chiaramente visibili lungo il Ponte della Libertà dalla terraferma. Allo stesso tempo proprio qui, circa due decenni prima, era stato previsto il nuovo ospedale di Le Corbusier, un progetto che si inseriva nell’area in maniera indifferente al tessuto urbano minore e alle architetture preesistenti e che, inoltre, si estendeva sulla laguna verso il canale. Per tale grande edificio, l’architetto prevedeva l’uso di tecniche costruttive che molto probabilmente non sarebbero poi risultate adeguate al contesto veneziano, specie rispetto al tema della durabilità, come per esempio la presenza di numerosi pilotis in calcestruzzo armato direttamente in acqua, in una zona della laguna molto aperta e soggetta ai venti e alla salinità.
Il progetto del campus di San Giobbe si contrappone completamente a quello di Le Corbusier, volendo conservare e preservare tanto gli edifici esistenti quanto il tessuto urbano. In quegli anni, tale pensiero progettuale viene inoltre avallato dagli studi e dalle ricerche sull’importanza dell’edilizia minore nelle città storiche (in particolare grazie al lavoro di Egle Renata Trincanato) e dell’archeologia industriale, confermando che il nuovo ospedale sarebbe risultato troppo invasivo nella città insulare.
Il campus di San Giobbe, rispettando le peculiarità del luogo, risulta avere oltretutto un forte contenuto ideologico: dalle antiche architetture di una delle più grandi industrie di Venezia nasce una nuova “industria” veneziana, l’industria del sapere ovvero l’università.
L’uso del laterizio in un luogo come il centro storico di Venezia sembra quasi una scelta obbligata, eppure immagino sia stato piuttosto sfidante dal punto di vista progettuale e tecnologico. In che modo è stata affrontata questa scelta e con quale consapevolezza ci si è confrontati tanto con il patrimonio storico in laterizio quanto con le architetture moderne e contemporanee (penso principalmente alle residenze progettate da Gino Valle alla Giudecca)?
I materiali tipici di Venezia sono principalmente tre: laterizio, pietra d’Istria e trachite. Tuttavia, nell’architettura storica il laterizio non viene utilizzato faccia-vista in quanto l’intonaco (o altri tipi di rivestimento di facciata come la pietra) costituiva un ulteriore elemento caratterizzante l’edilizia veneziana. Degrado e salinità, con conseguente distacco dell’intonaco su gran parte delle facciate degli edifici lagunari, hanno permesso oggi di vedere direttamente il muro in laterizio.
Gli edifici dell’ex Macello presentavano invece una muratura in mattoni faccia-vista sui fronti verso le corti interne e intonaco a bugnato solo sui fronti verso la laguna. Per il restauro-recupero di tali edifici, al fine di mantenere la muratura esistente all’esterno, sono stati previste operazioni di cuci-scuci, di stilatura dei giunti e interventi specifici per evitare la risalita capillare dell’umidità tramite tecniche sperimentali basate sull’inversione della polarità all’interno della muratura. Di contro, all’interno sono stati realizzati impalcati e strutture in materiali diversi da quelli storici, ossia acciaio e vetro anche per rendere evidente l’intervento di recupero. Analogamente, i nuovi edifici sono stati realizzati con strutture puntuali in calcestruzzo armato e in acciaio e muratura in laterizio con rivestimento
in mattoni faccia-vista per le chiusure. In particolare, si tratta di una facciata microventilata in quanto è presente uno strato di separazione tra isolante e laterizio e vengono alternate ai giunti in malta piccole griglie che garantiscono la microventilazione e favoriscono l’isolamento dell’edificio stesso. Più nello specifico, la stratigrafia della chiusura verticale opaca è così caratterizzata (dall’interno
verso l’esterno, laddove il rivestimento esterno è in mattoni faccia a vista): intonaco di finitura, tamponamento in blocchi in laterizio alleggerito in pasta da 30 cm, strato isolante (spessore variabile dai 5 cm agli 8 cm), intercapedine d’aria da 3 cm, facciata microventilata con mattoni in laterizio. La scelta del tipo di mattone, della malta, nonché la stilatura dei giunti è stata molto curata al fine di poter avere una superficie muraria quasi continua, massiva, anche in contrapposizione con le strutture puntuali interne. La malta, infatti, contiene inerti di laterizio per avere una colorazione molto simile a quella del mattone utilizzato.
Il mattone UNI è stato un elemento fondamentale per lo studio sia planimetrico che in alzato: lesene, piani, dimensioni della foratura delle finestre, e altri particolari sono stati dimensionati sulle note misure 5,5 cm x 12 cm x 25 cm.
Oltre al laterizio, le residenze presentano un coronamento in rame, materiale poi ripreso per parapetti, cornici, pluviali e davanzali, e infissi in alluminio verniciato rosso, infissi che caratterizzano tutto il progetto del campus (biblioteca, aule, residenze) con il colore rosso che identifica l’ateneo cafoscarino ma che riprende anche le storiche finestrature dell’edilizia industriale veneziana.
L’intervento del campus e delle nuove residenze universitarie hanno permesso di attivare nuovi percorsi (per esempio dalla stazione, con la costruzione del ponte Valeria Solesin) e nuove aree a servizio anche della popolazione residente nell’area di Cannaregio. Secondo lei, l’uso del laterizio ha permesso di rendere più apprezzabile e vivibile, quindi più familiare, questo intervento da parte della comunità?
Fin dall’inizio del progetto il campus si configura come spazio aperto a servizio di tutta la città nonchè come volano per la riqualificazione dell’intera area. Essendo stato pensato come parte integrante del quartiere, il disegno dell’impianto urbano prova a ricreare una sequenzialità tra calli, campi e campielli anche grazie allo studio della pavimentazione e all’uso quindi di trachite e pietra d’Istria.
Questi spazi, che in successione si contraggono e si aprono con un ritmo costante, sono caratterizzati dai volumi in laterizio, materiale che definisce e caratterizza anche gli spazi esterni. Il laterizio ha pertanto un duplice “valore”: delimitare e creare gli spazi entro i volumi chiusi e disegnare e identificare gli spazi pubblici aperti nei percorsi e negli spazi della socialità. Inoltre, in questa sequenzialità si collocano una serie di servizi previsti per il campus (ristorante, bar, e così via) e che di fatto sono utilizzati da tutta la comunità residente, rendendosi così promotori di una riqualificazione anche
sociale del quartiere.
Infine, il nuovo ponte – che si è deciso di dedicare poi a Valeria Solesin – era già stato previsto nel masterplan originario e realizzato successivamente grazie all’accordo con Ferrovie dello Stato, dal momento che viene incluso un percorso interno alla stazione di Venezia Santa Lucia. Tale ponte consente di connettere due parti della città molto vicine ma prima della sua costruzione fruite dai pedoni in tempi piuttosto lunghi.
Laterizio e sfide ambientali: in che modo il progetto delle residenze universitarie di San Giobbe affrontano i temi della sostenibilità in particolare rispetto all’uso del laterizio?
Il progetto si è esteso negli anni, come detto, e quindi anche il tema della sostenibilità si è evoluto nel frattempo. Nello specifico le residenze sono state progettate per essere in classe energetica A, grazie all’uso di sistemi impiantistici a pompe di calore e fotovoltaico, ovvero di guaina fotovoltaica in copertura che rimane nascosta alla vista.
Il tema della sostenibilità è stato affrontato piuttosto rispetto all’obiettivo di preservare il contesto urbano e a quello di limitare l’uso delle risorse. A ciò si aggiunge il tema del tempo: si tratta di edifici che sono stati progettati per durare a lungo in analogia a quelli esistenti, che sono stati riqualificati dopo oltre due secoli dalla loro originaria costruzione. Ragionare in tal senso significa considerare il fatto che l’energia spesa per costruire i nuovi edifici sarà recuperata negli anni a venire.
L’uso sostenibile del laterizio può essere quindi letto rispetto a questi obiettivi.
Chiara Testoni,
Architetto, PhD