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Alfonso Femia

L'architettura, una questione di luoghi

Atelier(s) Alfonso Femia è uno studio di architettura internazionale con sede a Genova, Milano e Parigi. L’esperienza maturata in più di 25 anni di attività progettuale, sviluppata a tutte le scale di intervento, si riflette nella profondità di approccio ai temi più sensibili della città e del territorio. Il fondatore dell’atelier(s) è Alfonso Femia. Tra i progetti più recenti sono la nuova sede di Vimar a Marostica, la Dallara Academy a Parma, la nuova sede del Gruppo BNL-BNP Paribas a Roma, Les Docks de Marseille, The Corner a Milano, complessi residenziali di housing sociale, direzionale e turistico in Italia e in Francia.

 

Nel tuo lavoro di architetto hai spesso affrontato il tema degli spazi del lavoro e degli headquarters. Quali sono gli aspetti che ritieni siano più caratterizzanti nel progetto di queste architetture?

Mi è capitato spesso di progettare edifici direzionali sia in Italia, sia in Francia e la sfida ogni volta è ricercare la soluzione migliore che dialoghi con il contesto e con la volontà del committente di far “emergere” un’architettura in grado di definire un segno identitario del luogo. Il progetto, a nostro avviso, deve ricercare sempre un equilibrio tra le attese, i diversi “doveri” dell’architettura e il diritto alla bellezza che le città meritano e che i progetti devono assumere in maniera specifica ogni volta. 
L’architettura degli uffici, particolarmente delle sedi aziendali, utilizza un vocabolario di espressioni che rappresentano le premesse concettuali e gli obiettivi: “restituire i valori dell’azienda”, “stimolare la produttività”, “prendersi cura dei dipendenti”.
Si tratta di esigenze che devono essere realizzate attraverso una reale personalizzazione, senza assumere modelli di concept rigidi per impianti, involucro e aspetti distributivi. Texture delle superfici, arredi, scelta dei materiali e delle cromie sono essenziali per attribuire identità e riconoscibilità all’architettura e fare in modo che ogni persona possa riconoscere una micro-sfera di benessere individuale.
È perciò necessario finalizzare ogni scelta progettuale non solo alla scala fisica ma anche a quella emozionale del committente, degli operatori e degli impiegati.Quando si opera in contesti urbani, particolarmente per le società di servizi, altrettanto fondamentale è l’integrazione dell’headquarter nella città, realizzando edifici permeabili, che possano essere vissuti anche da chi non li abita perché la città è la scala di confronto, di rispetto e successo dell’architettura nella sua fase di innesto ed esordio e in quella futura.
Su questi temi abbiamo lavorato per la progettazione del quartier generale BNL BNP Paribas a Roma: l’edificio è “fatto” di luce e materia, elementi che sono insieme percorso e traguardo, architettura e arte, sentimento e riflessione. Ed è anche il punto di partenza della riqualificazione di un’area di Roma avvilita e degradata da anni di abbandono e disinteresse che ha recupero la dignità di essere un’importante parte della città.
È un edificio che incuriosisce, che invita all’indugio dello sguardo, a cercare punti di vista differenti per coglierne in pieno la rassicurante presenza urbana. E anche “intelligente”, high tech, che “accudisce” chi ci lavora.

Negli anni segnati dalla pandemia mondiale sono cambiati concept, progettazione e gestione degli spazi del lavoro?

La pandemia pareva aver profondamente mutato le ritualità, le abitudini, gli obiettivi delle nostre azioni. Tuttavia, il modo in cui stiamo vivendo oggi, a distanza di tre anni, non è in realtà l’esito della pandemia, ma il proseguimento delle tendenze pre-pandemiche che, a causa dell’emergenza sanitaria, hanno subito una brusca accelerazione. In particolare, per quanto attiene al lavoro di funzionari, impiegati e dirigenti, ovvero il “popolo” che abita gli edifici direzionali, l’attuale e non ancora stabilizzato assetto organizzativo – lavoro da casa, da … ovunque, in sede e in formula ibrida (casa/ufficio a giorni stabiliti e on demand) - è il risultato della progressiva diffusione della tecnologia, più che dei temporanei vincoli sanitari, e di altri fattori emergenti con le mutazioni politiche ed economiche in atto.
Dal 2022 molti dipendenti e collaboratori sono rientrati nella sede delle proprie aziende. Mitigato e ridotto il rischio di contagio, il rialzo dei prezzi dell’energia influisce sia sui singoli individui, sia sulla gestione, tanto che alcune aziende hanno scelto di chiudere le proprie sedi per alcuni giorni, a scansione variabile - mensile o settimanale - per risparmiare sulle bollette, autorizzando o meglio costringendo il personale a lavorare da remoto (come, ad esempio, il Comune di Milano). Secondo l’Osservatorio 2022 Smart Working del Politecnico di Milano, un’azienda che riduca il lavoro in presenza a tre giorni la settimana potrebbe contenere i costi annui di 500 euro a postazione, coordinando la chiusura degli spazi per porzioni di immobili. Ridimensionare lo spazio della sede condurrebbe, ovviamente, a risparmi ancora maggiori, fino a 2500 euro a persona.
Il bilancio sarebbe positivo anche per i lavoratori, il maggior consumo di energia verrebbe compensato con una diminuzione dei costi di trasporto (pubblico o privato). Per dare una dimensione numerica, nel 2022 hanno lavorato da remoto circa 3,6 milioni di persone e, se anche c’è stata una flessione rispetto all’anno precedente (in cui vigeva lo stato di emergenza), tuttavia c’è stato un aumento consistente rispetto alle 500.000 persone ante pandemia. Dunque, per la seconda volta in soli tre anni, lo smart working viene utilizzato come uno strumento emergenziale (prima per la pandemia, ora per l’economia).
In realtà è un differente modello organizzativo di lavoro e di vita. Dal punto di vista della domanda, secondo il report Re/Max, gli investimenti sono diminuiti di circa il 40% rispetto al 2020. A Roma e a
Milano le locazioni degli immobili direzionali sono tornate ai livelli pre-pandemia. Nel 2021 e 2022 il mercato ha tenuto, ma per il 2023 si teme un arretramento. La coesistenza delle due modalità di lavoro (in presenza e da remoto) si è trasformata in una rifunzionalizzazione degli spazi esistenti verso ambienti più adeguati alle esigenze di socialità, convivialità e condivisione di idee.
I temi ESG - Environmental, Social, Governance - sono oggetto di interesse crescente da parte sia degli investitori, sia dei gestori e dei conduttori e si aggiungono al forte traino delle certificazioni ambientali a garanzia della sostenibilità dei progetti. Come nel caso del recupero dell’edificio a Milano per Banca Ersel, dove abbiamo realizzato un progetto rispettoso dell’esistente, senza rinunciare a un’attualizzazione funzionale, calibrata sulle esigenze espresse dalla committenza e sulla valorizzazione dei focus compositivi originali. La definizione di un layout flessibile per l’organizzazione spaziale interna, sviluppato attraverso l’adozione della tecnologia a secco, è stato elemento di conciliazione tra la preesistenza storica e gli obiettivi contemporanei.
Il progetto ha coinvolto tutto l’edificio: quattro piani fuori terra, oltre all’interrato, una nuova copertura per rendere agibile anche l’ultimo piano, l’innesto di un’area a verde nel cortile interno, la sostituzione degli impianti meccanici e idrici e la creazione di una hall, dimensione generosa che invita alla pausa, all’aggregazione e alla condivisione. L’attenta analisi delle sale storiche, del sottotetto e del piano interrato ha consentito di realizzare un programma di ridistribuzione funzionale, bilanciando l’autonomia degli spazi Ersel e di quelli a destinazione multitenant, attraverso la gestione degli ingressi e dei flussi interni, prevedendo anche una futura espansione delle pertinenze Ersel.
L’edificio è stato riqualificato per gli aspetti energetici, sostituendo le chiusure esistenti e applicando un cappotto interno. Un’altra tendenza ancora poco indagata, più diffusa a scala territoriale (per ovvi motivi meno a scala urbana), è quella di unificare in oggetti architettonici rappresentativi e coerenti le funzioni di headquarters, di produzione e di logistica, come nel caso di Vimar, azienda storica di Marostica, per la quale abbiamo realizzato recentemente la nuova sede.
La conoscenza della storia aziendale è stata fondamentale perché ha contribuito a trasformare il processo di progettazione in una partnership tra cliente e architetto. Il nuovo complesso di edifici si divide in tre aree funzionali principali: il magazzino del prodotto finito, il magazzino dei semi lavorati e la produzione. Queste aree sono poi affiancate da un polo destinato alle centrali tecnologiche e da zone adibite a uffici e servizi.
Il progetto, antecedente alla pandemia, già ne rispettava le prescrizioni: il layout delle aree impiegatizie media sul tema dell’interconnessione costante, creando community dinamiche, senza sottrarre alle persone la potenzialità di ancorarsi a un proprio micro-mondo domestico nell’ufficio. Collaboranti con questa visione, i grandi patii, veri e propri giardini pensili, funzionano come preludio, anticipo per trasmettere aria e luce all’interno. L’alternanza tra spazi aperti delle corti di collegamento e quelli “chiusi”, dell’area Ricerca & Sviluppo e degli uffici e depositi, è una scelta planimetrica e distributiva che testimonia del rapporto unico tra luogo, azienda e persone, realizzato con l’obiettivo di offrire a tutti, attraverso le situazioni visive, materiche e cromatiche, il senso di appartenenza e di identità al “proprio ufficio”. 
Ancora di più, nell’era post-Covid, la “nuova normalità” identifica serenità e benessere come elementi fondamentali e non accessori della progettazione degli uffici. I luoghi del lavoro devono essere in grado di garantire il distanziamento nelle occasioni di incontro collettivo, ma anche di consentire di isolarsi e di apprezzare una dimensione di privacy.

Nella tua architettura hai sempre dato molta importanza alla ricerca dei materiali da usare nella costruzione, tra i quali sono presenti anche il laterizio e la ceramica.

Nel complesso residenziale di Asnières sur Seine, vicino a Parigi, abbiamo bilanciato il laterizio con la ceramica. L’accostamento inconsueto di materiali affini, esaltandone complementarietà e differenze, è l’anima del progetto, così come la riaffermazione del decoro attraverso le ceramiche e gli ornamenti rappresentati da sei statue di angeli. L’uso della ceramica nei nostri progetti nasce da una ricerca che mette insieme lo studio sulla materia sotto il profilo compositivo e architettonico, ma anche per gli aspetti tecnici ed economici, i sistemi di posa, il confronto con normative e regole, per avvicinare la scala artigianale a quella industriale. È una ricerca sviluppata e messa a punto nel corso degli anni: dal dialogo con la luce e il contesto, la ceramica esprime la capacità di parlare e di raccontare l’edificio. La ceramica si riappropria del suo valore come materia, e della poeticità e capacità narrativa di “pensare per materia”. Per ogni progetto valutiamo come la materia possa esprimere l’idea architettonica riferita al luogo, alla sua storia, al suo tempo, alla sua funzione, interagendo con la sostenibilità ambientale ed economica del progetto.
Gli Atelier(s) adottano questo modus operandi in tutti i progetti sia in Italia sia all’estero. Dopo le prime esperienze a Parigi e a Marsiglia, al nostro modo di progettare viene oggi attribuita una competenza identitaria per l’uso della ceramica. L’esito nella composizione architettonica è che dal dialogo con la luce e il contesto, la ceramica esprime la capacità di parlare e di raccontare l’edificio.
Luce e spazio, nelle concatenazioni di sequenze orizzontali e verticali, di compressioni e dilatazioni, sono i principali elementi che caratterizzano l’architettura, entrano direttamente nella costruzione della percezione dell’edificio, dell’affermarsi come presenza dialogante e cangiante dai diversi punti prospettici e dal rapporto con la luce naturale in maniera che possa essere diversa nelle diverse ore del giorno e nei diversi giorni dell’anno.
È un modo per riaffermare la materia e l’architettura parlando a chi vive la città, o alcune delle sue parti. Per sviluppare questo tema abbiamo messo in atto una vera e propria sfida tecnologica per dare tridimensionalità alla ceramica (una sorta di effetto “diamante”), attraverso una geometria semplice ma variabile, simmetrica e asimmetrica, alternata così da creare differenza e unità insieme.

È purtroppo ormai tangibile e innegabile la drammatica evoluzione che la crisi climatica sta avendo in questi anni. Quali sono, dal tuo osservatorio di architetto, le scelte che l’architettura può attuare e come influisce l’efficienza energetica sul progetto contemporaneo?


Il tema del cambiamento climatico e del cosiddetto costruire sostenibile dal quale, a cascata, discendono l’esigenza della riduzione dei consumi e dell’efficienza energetica, attiene a un sistema legislativo e normativo, perfettibile, ma già aggiornato ed esaustivo ormai da anni, non senza qualche eccesso ed esasperazione.
Ha animato le università, gli Ordini professionali, il comparto immobiliare, le aziende di produzione, ma la maggior parte dei temi di cui dibattiamo non è più un obiettivo ma, ormai, pre-requisito progettuale.
Oggi è importante spostare l’attenzione dalla sostenibilità energetica e ambientale a quella sociale e puntare sull’aggregazione vs la segregazione nei centri urbani.
Il mainstream della “città dei 15 minuti” deve essere ponderato sulle situazioni specifiche, per evitare di creare ulteriori diseguaglianze, rischio alto se i “15 minuti” sono eredità di non luoghi, meri ponti vuoti tra periferie, semi-centro e centro. 
E ancora, la mobilità dolce deve essere l’esito di un processo progettuale urbano. Costruire una ciclabile a margine di un viale ad alta percorrenza, senza modificare traiettorie e rete stradale, per tacitare la coscienza della governance civica, non significa fare un progetto di mobilità dolce. Un super-edificio ad alte prestazioni che si stagli isolato nella sua virtù energetica, sordo e cieco al contesto, non è sostenibile, è semplicemente un esercizio progettuale autoreferenziale.

Marco Adriano Perletti,
Architetto, PhD