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Germania/Berlino  
Sergei Tchoban, NPS Tchoban Voss

Nhow hotel, Berlino

Il tema del progetto è la realizzazione di un albergo a quattro stelle sul fiume Sprea, rivolto alla città con uno sguardo aperto e cosmopolita. L’appartenenza della struttura a una catena alberghiera impone un filo conduttore aziendale, individuato nella ricerca costante di design inediti e nell’evidenza di una componente preferita fra le arti; la scelta ricade, per Berlino, sulla musica. 

Gli interni sono affidati a Karim Rashid. Il designer, di genitori egiziani e inglesi, cresciuto fra Canada e Italia, con studio ad Amsterdam e New York, propone grafie e colori ispirati alla musica contemporanea, in cui elettronica e digitale, mixer ed equalizzatori hanno ormai il sopravvento. Le vibrazioni delle sonorità più aggiornate sovvertono anche le geometrie degli interni: piegano le più convenzionali giaciture dei divisori delle camere, armonizzano fra loro materiali di sintesi eminentemente industriale, culminano nella sala di registrazione inserita fra gli spazi dell’edificio. 

La vocazione musicale interiore è ricompresa nella più ampia visione d’insieme del progetto, concepita da una compagine di architetti tedeschi, associatisi in Germania, ma di origine e prima formazione russa. In esterno, è la duttilità del laterizio ad aiutare l’architettura a far trasparire le armonie contemporanee interne: il paramento riproduce un pattern di linee organiche, irregolari, orizzontali, quasi onde sovrapposte, mediante l’impiego di conci di differente spessore. Essi producono al sole effetti d’ombra sottili, capaci di alleggerire in altezza l’aspetto altrimenti uniforme e per lo più scatolare dell’albergo. 

Con una idea di avanzamento rispetto all’architettura tradizionale, magniloquente per mezzo d’ordine, ripetitività e grandi dimensioni, il progetto cerca innovazione nell’ibridazione di soluzioni consolidate, senza far venir meno la peculiarità della precisione nel controllo tecnico della costruzione. Su di una struttura a pilastri e travi, si assemblano i volumi della «piastra» estesa a tutto il piano terra, lo schema «a pettine» dei corpi di fabbrica costituenti il fusto multipiano dell’edificio, e infine lo sbalzo, aggettante per 21 m rispetto agli allineamenti sottostanti. 

Dal punto di vista materico, si compongono: una veste trasparente a terra, dove si attenderebbe al contrario il muro pieno, a sostegno dei carichi soprastanti; per sei piani segue il rivestimento laterizio, improntato a piccoli salti di spessore e irregolarità fra i corsi di posa; quindi i riflessi dell’alluminio avvolgono i tre livelli sommitali. I materiali parlano il linguaggio della tradizione industriale tedesca, richiamando i volumi delle grandi manifatture del ‘900, con l’aggiunta dello sbalzo in sommità a ricordare le torri meccaniche del porto fluviale sul fiume Sprea. L’evocazione della gru per il sollevamento delle imbarcazioni mercantili distingue nettamente, per contenuti, il Nhow hotel dagli altri affacci recenti del waterfront di Berlino, offrendo un rimando non autoreferenziale, contemporaneamente al passato e al futuro della città.

La matrice tedesca del progetto, con riferimento ai tratti identificativi dell’architettura del razionalismo, è denunciata specificamente dalle aperture sugli affacci laterizi: viene proposta la rivisitazione della finestra «a nastro», giocata in questo caso sia in soluzione orizzontale, sia verticale, ricomposta sulle facciate assieme a ulteriori aperture puntuali. 

Nel ‘700 l’intellettuale tedesco Herder ha per primo definito il volksgeist, liberamente tradotto in spirito del popolo o spirito della nazione: si tratta di un concetto universale poi rielaborato da Savigny e Fichte prima dell’avvento del nazionalismo. Secondo questa idea, tutte le nazioni e i popoli della terra sono unici, con caratteristiche peculiari. In architettura, solitamente si ritengono segni di «germanità» il rigore, la precisione, l’ordine, la nettezza dei volumi, la razionalità delle forme, forse anche la ripetitività quale strategia per ottenere l’ordine. A ben guardare questi tratti per così dire somatici, se veramente connaturati al popolo, hanno favorito la nascita proprio in Germania del Bauhaus e del Moderno. 

La spinta di questi due movimenti, unita alla forza del carattere identitario della popolazione, ha creato una tale simbiosi fra le due, assai difficile da scardinare. Alcuni anni fa la rivista tedesca Detail si è interrogata sul perché non vi fossero archistar tedesche nel panorama contemporaneo, sorprendentemente dimenticando, o volutamente trascurando, a seconda di come si voglia declinare l’accezione di archistar, Kollhoff, Von Gerkan, Tilke. È apparso chiaro come per una parte dell’ambito disciplinare d’area germanica il mondo conosciuto si sia fermato, al più, a Ungers: in interviste recenti pubblicate da questa rivista e in occasioni pubbliche, Mackler ha parlato di Poelzig e Behrens, Kollhoff di Semper. Non stupisce allora l’empasse, se si considera che nessun progettista tedesco ancora abbia nominato Mies van der Rohe fra questi Maestri, poiché rispetto a essi si colloca indubbiamente oltre, sia nel tempo, sia nella concezione di spazio. 

A ben guardare, tentativi di superamento e di ibridazione dei linguaggi consolidati in Germania sono già in atto, e per alcuni aspetti questo progetto, pur nei limiti imposti dalle esigenze di programma, può esserne esempio. 

Alberto Ferraresi
Architetto, libero professionista


Scheda tecnica

Oggetto: Hotel
Località: Berlino (D)
Committente: NDC Nippon Development Corporation GmbH
Progetto architettonico: Sergei Tchoban, NPS Tchoban Voss
Impresa edile: BAM Germany AG
Cronologia: 2007-2010
Superficie di intervento: 21.463 m2
Superficie coperta: 3.600 m2
Volume: 104.572 m3
Costi di costruzione: € 35.000.000
Fotografie: Roland Halbe, Wolfgang Reiher

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