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Germania/Wildbergerhütte-Reichshof  
Heinz Bienefeld

Chiesa e casa parrocchiale

Heinz Bienefeld, durante il lungo apprendistato presso Emil Steffann, lavorò nel 1961 alla realizzazione della Chiesa di St. Hildegard a Mehlem. Il progetto dimostrava una profonda analogia con la configurazione cristallina e la singolarità dell’impianto di S. Stefano Rotondo: qui «un visitatore posto nel mezzo della chiesa si sarebbe trovato in un vano cilindrico coperto da una cupola a ombrello e ben illuminato da finestre relativamente piccole ma numerose; e … sarebbe stato colpito dalla vivace policromia delle pareti rivestite di opus sectile, con pannelli poligonali e circolari di marmo verde o rosso … e dall’alternanza di zone più o meno rischiarate: alla luminosità del vano centrale facevano seguito la mezza luce dell’ambulacro e la penombra delle cappelle, mentre sullo sfondo dei bui corridoi esterni spiccavano gli assolati cortili» (Krautheimer, 1980).

La Chiesa di S. Bonifacio, costruita da Heinz Bienefeld nel 1974 presso l’incrocio di due strade a Wildbergerhütte-Reichshof, rappresenta una variazione sul tema. La struttura formale si riduce a una semplificazione estrema e s’identifica con lo spazio centrale ottagonale coperto da un grande tetto a spioventi. Il tetto è l’elemento che riunisce le due parti del complesso in un profilo unitario: esso è portato da sei robusti sostegni, porzioni di muro che richiamano e svuotano l’anello di deambulazione attorno all’aula liturgica, e si accresce sul corpo snello della casa parrocchiale, che si approssima per accostamento.
L’edificio giace su un lieve pendio. L’aula liturgica, raggiungibile per mezzo di gradinate e brevi scalini, si trova nel punto più basso. I due poli all’interno sono costituiti dall’altare e dalle sedute con l’organo, circoscritte da una cortina esile di mattoni che comprime il vestibolo d’accesso oltre il portale principale. La soglia d’ingresso è inoltre accentuata da un abbassamento progressivo del piano pavimentale, un tappeto continuo di mosaici a blocchetti di pietra lavica. Questo espediente costringe ad una percorrenza non assiale e ad una graduale conquista dell’ampio invaso centrale.

Il varco d’entrata è una traccia che interpreta un rituale processionale: dall’esterno, stazionando nell’assolato giardino antistante, si perviene all’ambulacro, un punto intermedio segnato dai pilastri e dalla mezza luce prodotta dal tetto. Poi si giunge all’interno, superando la penombra dell’intercapedine del vestibolo; infine si approda nel luogo dell’assemblea, in cui ci si raccoglie dentro la forma conclusa del muro al riparo del tetto, che permette alla luce di piovere dall’alto da un “claristorio” ininterrotto.

Bienefeld assume un atteggiamento di perizia artigianale, alimentato da una riflessione sull’antico, nella dialettica tra l’allestimento del muro ottagonale e la grande copertura, che si “distacca” al di sopra. La successione degli elementi rispetta la tettonica del muro e la carpenteria dell’ossatura lignea del tetto.
Il decoro di quest’architettura è offerto dalla ricchezza del sistema murario. I piloni di mattone di laterizio ordinario sono rastremati e si presentano come sostegni monolitici di un tetto che appare in una figurazione “arcaica”; l’elementare scatola ottagonale, una massa monumentale con lievi piegature (una seduta per i ministranti, il portale secondario tra due contrafforti) ed escavazioni (la nicchia del tabernacolo e finestrelle occluse da lastre di marmo traslucido), custodisce l’aula e lo spazio della liturgia; la casa parrocchiale, fatta di pietre irregolari grigiastre, assume un aspetto rurale e individua nel perno del campanile tozzo e severo il punto di connessione tra le due stanze contrapposte della sacrestia e della cappella per le celebrazioni feriali.
La massa muraria ottagonale s’innalza attraverso un ricamo raffinatissimo della tessitura, dove si alternano filari di pietre rocciose disposte in orizzontale o alternativamente inclinate a cordoni di mattoni romani, che corrono di testa su doppio filare, affogati in evidenti giunti di malta. La scatola si chiude con un coronamento di pietre ritte a coltello, su cui si posano i telai in legno e ferro degli infissi.

Non è un caso che l’espressività dell’impaginato della muratura listata – opus vittatum – sia proprio di derivazione romana, la cui memoria affiora costantemente tramite rovine e lacerti in quest’area della Renania, e viene declinata in una tecnica costruttiva locale: i mattoni e le pietre si susseguono come fossero lastre “incrostate” di un’estesa policromia mentre la loro giacitura a spinapesce evoca il tipo di tamponatura adottata da secoli nel traliccio ligneo delle architetture tradizionali.
La stessa intelaiatura del tetto ripete una nomenclatura consuetudinaria, sotto un manto continuo di tegole di laterizio, la cui ariosa leggerezza protegge ciò che è segretamente celato dal muro. A questa appropriatezza e calibrata misura dell’opera, anche un visitatore occasionale sarebbe in grado di riconoscere una bellezza silenziosa.

Nicola Panzini
Architetto, PhD, Docente a contratto Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria Civile e dell’Architettura, Politecnico di Bari


Scheda tecnica

Oggetto: Chiesa e casa parrocchiale San Bonifacio
Località: Wildbergerhütte-Reichshof, Germania
Committente: Erzbistum Köln
Progetto architettonico: Heinz Bienefeld
Cronologia: 1973, progetto; 1974, realizzazione
Fotografie: Lukas Roth

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