Milano si è appena risvegliata da Expo e si rigetta ora febbrilmente in una nuova titanica avventura che vedrà la città ancora «epicentro» di un vero e proprio «sisma culturale». La Triennale si intitola «21st Century. Design after design» e proietta il visitatore in un futuro fatto sia di incertezze – mai come in questo periodo – sia di entusiasmo e curiosità nell’esplorare l’universo del design, a partire dalla poderosa eredità culturale di cui Milano è custode.
Nei vari luoghi di esposizione – dalla Triennale alla Fabbrica del Vapore, dall’Hangar Bicocca al Politecnico, dal Campus Iulm al Mudec, dal Museo della Scienza e della Tecnologia a Base Milano, dal Palazzo della Permanente all’Area Expo, dal Museo Diocesano alla Villa Reale di Monza – l’imperativo è indagare il rapporto tra il design e le nuove tecnologie dell’informazione, esplorare nuove figure creative (makers e artigiani digitali), analizzare le modalità di contaminazione culturale proprie dell’epoca della globalizzazione.
Tra i numerosi spunti di riflessione, uno dei più emblematici è quello che indaga – in un tempo controverso come il nostro che ammicca con estrema facilità all’effimero, al virtuale, allo spettacolare – il rapporto tra architettura e arte.
Se la prima soggiace frequentemente agli imperativi della mercatizzazione tradendo i valori di qualità compositiva e costruttiva che le sarebbero propri e svilendosi sempre di più in un’edilizia «usa e getta», la seconda spesso è circoscritta a un Iperuranio ideale e autoreferenziale che poco ha a che vedere con la vita reale e le sue esigenze quotidiane.
Due mostre esplorano il confine tra queste due distinte dimensioni culturali:
la mostra «Arch and Art» nei giardini della Triennale e la mostra «Architecture
as Art» negli spazi dell’Hangar Bicocca.
In entrambi i casi, alcune installazioni declinano in modo personale la loro interpretazione sul tema e demandano a un unico materiale, il laterizio, il compito di fungere da protagonista del racconto: i padiglioni di David Chipperfield e Michelangelo Pistoletto e quello di Hans Kollhoff e Mimmo Paladino ai giardini della Triennale, e l’installazione di Wang Shu all’Hangar Bicocca. Mentre il primo suggerisce un’evidente conflittualità, quasi un rapporto di «amore e odio» tra le due visioni creative – quella artistica e quella tettonica – e il secondo intravvede una possibile armonica sinergia tra le parti (seppure ciascuna con la propria dichiarata identità), il terzo individua nella coincidenza tra arte e architettura la chiave di lettura della questione.
La mostra «Arch and Art» propone cinque installazioni in forma di «opera collettiva», realizzate da cinque coppie di artisti e architetti di nota fama:
David Chipperfield e Michelangelo Pistoletto, Hans Kollhoff e Mimmo Paladino, Michele De Lucchi ed Enzo Cucchi, Eduardo Souto de Maura e Jannis Kounellis, Francesco Venezia e Ettore Spalletti.
L’intervento di Chipperfield e Pistoletto racconta di un acceso dualismo ma anche di un dialogo possibile tra l’architettura, rappresentata dall’involucro esterno in laterizio di Chipperfield, e l’arte rappresentata dalla stanza interna di Pistoletto, distinte ma qui raffigurate come interconnesse e complementari. Un involucro esterno in laterizio, un archetipo della «casa» nella sua forma più consolidata e rassicurante, racchiude un ambiente interno autonomo, recalcitrante a conformarsi al volume esterno come dimostrano i materiali utilizzati volutamente differenziati e la scansione indipendente delle aperture rispetto alle bucature nella parete in laterizio. Il rivestimento esterno, costituito dal mattone faccia a vista, è arricchito in pasta da inserti lapidei che determinano una texture vibrante e originale e punteggiano vivacemente la campitura in argilla rossa, resa omogenea dalla malta dallo stesso colore.
Meno dicotomico è il rapporto tra arte e architettura veicolato dal Padiglione di Hans Kollhoff e Mimmo Paladino all’interno della stessa mostra. L’architettura è qui intesa come involucro che racchiude e valorizza l’arte in un’esperienza sensoriale assimilabile ai viaggi estatici del pieno romanticismo, dalle visioni delle rovine romane a quelle di Casper David Friedrich.
L’architettura, un involucro semplice in laterizio faccia a vista, è un percorso iniziatico che accoglie e accompagna il visitatore in un climax percettivo fino a cogliere l’opera d’arte, racchiusa al termine del percorso al di sotto di una calotta che capta la luce e invade con essa il visitatore proveniente dal buio. Spazio costruito, opera d’arte, luce e presenza umana sono gli elementi indissolubili di un’esperienza intellettuale ed emotiva che non potrebbe sussistere in assenza di anche uno solo di questi elementi.
Tutt’altro obiettivo ha la mostra «Architecture as Art» negli spazi dell’Hangar Bicocca. In questo caso il tema non è indagare il rapporto, controverso o sinergico, tra arte e architettura, ma definire arte e architettura come un’unità ontologica: appunto, l’architettura è arte.
Questo assunto viene declinato dall’intervento dell’architetto cinese Wang Shu, Pritzker Prize 2012, in un’installazione caratterizzata da una serie di quinte murarie in laterizio.
Wang Shu afferma che «solo le persone che capiscono la natura dei materiali possono fare dell’arte usando i materiali». L’opera è dunque un’ode all’arte muraria, alla perizia costruttiva, al rapporto dei materiali con la terra e con la natura e declina il concetto di costruire come forma artistica pura, scevra da condizionamenti intellettuali e pronta per essere fruita hic et nunc, al di là delle teche dei musei e come gesto libero e naturale. L’intervento di Shu suggerisce l’idea di un sapere costruttivo di grande impatto emozionale, seppure nella sua limpida semplicità e autenticità: i mattoni dal vivace colore rosso e dalla vibrante texture superficiale, prodotti con tecnica tradizionale a pasta molle e realizzati con l’utilizzo di argille naturali prive di additivi, definiscono quinte murarie e un basamento pavimentale in una logica unitaria, dove zone di continuità materica si alternano a momenti di erosione in cui il materiale viene sottratto, quasi a evocare l’idea di una costruzione in fieri o di rudere di ruskiniana memoria.
L’artista Mimmo Paladino afferma che «l’arte ha una continuità misteriosa: da un secolo si scivola a un altro e l’ultimo non potrebbe vivere se non ne avesse avuto uno, seppur diverso, alle spalle».
In un’epoca di profonda complessità e in nevralgica trasformazione come quella attuale, si fa strada – come suggerisce la stessa Triennale – l’idea che la progettualità del XXI secolo abbia in sé il germe di nuove dinamismi e pulsioni ma che alcuni valori restino necessariamente immutati come quelli di continuità, solidità, durevolezza, passione per il costruire che trovano esplicita citazione in queste installazioni in laterizio. Il laterizio come trait d’union tra presente e futuro, leitmotiv di un costruire al contempo sapiente ed emozionale e, dunque, forse effettivo anello di congiunzione tra design, arte e architettura.
Scheda tecnica
Mostra «Arch and Art», Giardini della Triennale | |
Località: | Milano |
Progetto: | a cura di Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza Realizzazione: Domus in collaborazione con La Triennale |
Curatela: | Nicola Di Battista |
Progetto di allestimento: | Centro Studi Domus con Marco Diana |
Graphic design: | Giuseppe Basile |
Ingegneria di progetto: | Milan Ingegneria |
Realizzazione: | Botta SpA |
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Artista: | Michelangelo Pistoletto Architetto: David Chipperfield |
Design team: | David Chipperfield Architects, Milano |
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Artista: | Mimmo Paladino Architetto: Hans Kollhoff |
Collaboratrice: | Alessandra Saltarin |
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Ideazione e direzione: | Pierluigi Nicolin |
Curatela: | Nina Bassoli |
Allestimento: | Sonia Calzoni, Patrizia Rossi |
Installazione in laterizio: | architetto Wang Shu, Amateur Architecture Studio |