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Edoardo Milesi

I materiali determinano il senso del luogo

Edoardo Milesi
Esperto in materia di tutela paesisticoambientale, ha conseguito numerose specializzazioni tra le quali Ecologia dell’architettura, Architettura religiosa e Arte dei giardini. L’attività progettuale spazia in ambiti e scale diversi e si caratterizza per coerenza di metodo e per la costante ricerca intorno agli aspetti ambientali, sociali e costruttivi dell’architettura. Alla pratica professionale Milesi unisce una costante partecipazione al dibattito culturale intorno ai temi dell’architettura contemporanea e l’interesse alla divulgazione e al confronto delle proprie sperimentazioni.

 

L’architettura ricettiva è architettura dell’accoglienza. Come può venire in aiuto nel progetto la scelta dei materiali?

L’architettura esiste se riesce a trasformare uno spazio in luogo. Lo spazio cessa di essere solo tale nel momento in cui nascono delle relazioni, in quel momento diventa luogo. Relazioni non solo tra persone, tra esseri viventi, ma anche con le forme e i materiali. Il loro colore, odore, i suoni che emettono toccandoli. La capacità dei materiali di relazionarsi col mondo della luce, delle ombre li rende elementi determinanti il senso del luogo. Per questo motivo la vera architettura rimane tale anche quando diventa una rovina, un rudere, un’archeologia. L’approccio con la materia è sinestetico, in grado di coinvolgere tutti e 5 i nostri sensi. Pensate al bambino al modo che ha per conoscere il mate-riale, lo tocca, lo annusa, lo assaggia. Questo è uno dei motivi che mi spinge a scegliere sempre materiali naturali, in grado di trasformarsi con l’uso, con il tempo, con le stagioni. Lavoro con la posa in opera per definirne le tessiture che meglio vibrano alla luce. Nel caso del laterizio le composizioni e le scomposizioni sono infinite: l’argilla di diverse provenienze geografiche, i tipi di cottura, i differenti formati conferiscono al semplice mattone una espressività rara e una versatilità pressoché infinita. La misura dell’accogliere è definita dal comfort proposto, ma soprattutto dalla capacità di comunicare l’identità del luogo e di chi ci vive. Materiali e forma partecipano direttamente a questa comunicazione di inclusione per questo non devono essere omologati, ma autentici e sinceri.

Quali scelte ovvero quali strategie materiche ha compiuto nei suoi progetti per l’ospitalità: in particolare mi riferisco agli agriturismo “Case Nuove” e “Pecora Vecchia”?

I progetti a cui si riferisce sono ristrutturazioni di casali agricoli in Toscana messi a disposizione di un turismo di lusso. Il lusso che intendo è semplicità nel comfort abitativo, vivere immersi nel paesaggio e nella cultura locale senza forzature, senza ricorrere a mimetismi falso storici ma in modo spontaneo e contemporaneo, mantenendo un contatto forte con la natura. Il vero lusso oggi è disporre del tempo necessario per apprezzare ciò che ci sta attorno, rappresentato dalla capacità di mettere le persone abituate a uno stile di vita frenetico e frettoloso a proprio agio nello scorrere del tempo legato ai cicli della natura. Per ottenere questo, forme e materiali devono essere eloquenti. Devono muovere le nostre corde più profonde attraverso memorie che sono dentro di noi. Questa capacità rende il luogo al di fuori del tempo e dello spazio e riporta le persone ad apprezzare la materia, la sua capacità di modulare il calore del sole, di sprigionare profumi inattesi ma conosciuti. Raramente i miei edifici hanno bisogno dell’aria condizionata, l’inerzia termica e l’azione igroscopica del laterizio rendono naturalmente confortevoli gli edifici di campagna lasciando entrare i profumi della natura e la brezza della sera.

L’emergenza epidemiologica in atto ha immediatamente fatto scaturire il dibattito disciplinare sulla correttezza o sulla necessità di modificazione delle convenzioni spaziali a cui eravamo progettualmente abituati. Pensando alle architetture dedicate al turismo ritiene che gli spazi vadano ripensati? Se sì, come?

Penso che quando parliamo di turismo dobbiamo subito stabilire a cosa intendiamo riferirci. Personalmente non riesco ad apprezzare il turismo cosiddetto “di massa” che in generale in Italia sta inquinando i nostri centri storici, crea disordine, riempie le nostre strade, ingolfa il traffico con pullman e consuma frettolosamente come in un fast food il nostro patrimonio culturale. Parlo del turismo mordi e fuggi che logora le nostre strutture, non dà il giusto peso ai luoghi e ai loro abitanti e nemmeno grandi soddisfazioni economiche ai residenti che lo accolgono. Se per turismo invece intendiamo il desiderio di calarci in una realtà culturalmente diversa per viverla per quello che è, senza stereotipi e falsi ideologici, allora occorre essere guidati, presi per mano, affinché quelle relazioni sinestetiche di cui parlavo siano in grado di cambiarci, conferendoci sensazioni vere in grado di restarci addosso. Ho vissuto il periodo del lockdown in Toscana, dove abito, collegato on line coi miei collaboratori, ho potuto vivere emozioni uniche: animali sempre più vicini, aria limpida e profumata, notti terse, solo i rumori della natura. Penso che il turismo in Italia sia questo: prendersi il tempo giusto per viverlo con una densità proporzionata allo spazio già abitato e quando parlo di abitanti intendo non solo l’uomo, ma gli alberi, gli animali, l’acqua, il cielo, la storia, la cultura, la natura che li avvolge. Pensato così, il turismo, nemmeno la pandemia lo può fermare.

La conversione in Legge dello scorso luglio del Decreto Rilancio ha messo in campo anche una serie di misure a sostegno dell’edilizia; a questi è seguito il DL Agosto che ha aggiunto ulteriori elementi alle agevolazioni fiscali. Ritiene che quanto introdotto costituisca un sufficiente aiuto a sostegno della permanenza e della valorizzazione delle strutture ricettive italiane? A suo avviso in quale direzione dovrebbe muoversi un’azione volta a potenziare adeguatamente il supporto all’edilizia turistica?

È assolutamente corretto che verso il mondo dell’agriturismo in tutte le sue articolazioni si rivolga un occhio di riguardo nelle agevolazioni fiscali, negli incentivi post pandemia. Operare in questo settore significa presidiare il territorio rurale, usufruire del patrimonio immobiliare esistente e quindi conservarlo, sviluppare politiche economiche sostenibili mediante la produzione di generi alimentari a chilometro zero, quasi sempre biologiche. È questo un settore particolarmente accessibile ai giovani nel quale possono meglio esprimere interessi sociali più inclusivi, più naturali, più lenti e per questo più attenti a favorire un diverso approccio tra natura e architettura. Che poi il DL Agosto sia in tal senso sufficientemente premiante non credo. Il recupero del credito d’imposta si presta poco a questo genere di aziende dove l’investimento si basa soprattutto su risorse personali che il conduttore mette a disposizione e che è proprio ciò che rende attrattiva e ecosostenibile questa attività.
Basata su una nuova ricerca di sopravvivenza colta la crescita qui non è solo quella economica, ma soprattutto costruita su una nuova cooperazione (qualità intrinseca al mondo agricolo) e su interventi semi spontanei. Un fabbricato abitato si deve trasformare assieme ai suoi abitanti, forme e materiali devono essere accessibili.
Costruzioni apparentemente spontanee si ibridano meglio col contesto esterno che diventa parte indistinta dal costruito e parte integrante del progetto, senza allentare, ma al contrario aumentando la forte tensione col sito agricolo, con la tradizione che ad esso si lega. La promiscuità tra natura e architettura favorirà l’ibridazione garantendone la vitalità. Questo non significa favorire abusi edilizi, bensì ridare spazio alla creatività trattando l’edificio come un corpo che vive, si difende, cresce e si modifica in funzione dell’uso dove la manutenzione non è temuta perché parte di una consapevolezza antica e necessaria. Pensare a incentivi normativi prima che economici potrebbe significare avviare un nuovo e interessante dibattito su forme e materiali.

Il patrimonio di architetture ricettive in Italia è vastissimo: dalle strutture nate per il turismo, a quelle trasformate per il turismo. Dal punto di vista edilizio quali consigli si possono dare, in generale, al settore, per migliorare l’offerta ricettiva di un luogo in questa fase storica?

Per costruire il futuro occorre preservare il passato, la sua cultura, quella parte immateriale che la materia ci sa raccontare. In questo periodo sono molto coinvolto con organizzazioni come l’UNESCO nel ripensare ospitalità e accoglienza nei luoghi sottratti al culto. Un patrimonio incredibilmente vasto e di altissimo spessore che stiamo abbandonando a sé stesso o a un uso assolutamente improprio. Il luogo destinato al culto, indipendentemente dalla fede personale, è dove risiedono l’identità di un popolo, la sua storia, le sue tradizioni, il suo orgoglio. Dimenticarli significa perdere storia e memoria che sono la sostanza dell’identità di una comunità. Solo attraverso la relazione sarà possibile pensare a un riuso in termini sociali, ricreativi e di accoglienza vera. Principale attrattore deve diventare l’azione che all’interno del contenitore si svolge. Come ho detto, il luogo non esiste se privato delle relazioni, e le relazioni hanno bisogno di persone che interagiscono autenticamente tra loro col contesto. Senza relazioni anche il luogo culturale diventa un semplice spazio da musealizzare. La comunità ha il compito di proteggere il territorio nel quale questa identità si è radicata, ma in qualità di tutore più che di custode. Definisce le regole affinché l’identità non venga depredata e consumata, ma arricchita e potenziata. La cultura forma le persone; se però subisce incursioni inappropriate occorre formare gli operatori culturali che in quell’ambito agiscono, stimolando così anche nuove forme di occupazione. Il ruolo dell’architetto è quello di farsi medium tra il luogo, la sua storia e la gente che lo ha abitato, lo abita e lo abiterà. L’architetto deve possedere capacità di dialogo nel rendere i suoi committenti consapevoli dei contenuti progettuali, dei processi che l’opera deve innescare, trasferire o restituire a chi la frequenta. Ottenere tutto ciò significa analizzare e conoscere il contesto in cui si deve operare affinché il dialogo parta proprio dalla consapevolezza della necessità di quel luogo, di quel programma per il territorio che lo ospita e che da questo dovrà trarre nuovi processi di crescita. È fondamentale comprendere che per l’Italia è tutta in questa azione la vera attrazione turistica.
Elemento attrattore diventa il luogo di relazione dove il turista percepisce la volontà di comunicare e di accogliere. L’edilizia è uno degli strumenti dell’architettura, il suo ruolo nella costruzione del luogo è fondante. I materiali interagiscono tra loro nella forma, coi pieni e i vuoti: la luce ne diventa la grammatica. I materiali hanno a che fare con i comportamenti umani che l’architettura è in grado di condizionare. Quando parliamo di restauro, ristrutturazione, riuso, il linguaggio con la fabbrica precedente deve essere contemporaneo e soprattutto sincero. Spesso sono i materiali a facilitarne il dialogo. 
Il laterizio viene dalla terra dalla quale vengono la pietra, il ferro. Il legno ci nasce e cresce dentro. Il fuoco e la mano dell’uomo legano assieme tutti questi elementi in un coro difficilmente stonato, se si riesce a mantenere viva l’autenticità della materia.

Guardando a ritroso i suoi progetti, si può certamente concludere che siano molto vari per tipologia o finalità, così come per scelta materica. Il laterizio è un materiale che ha impiegato in molte occasioni. Quali sono le principali caratteristiche che a suo avviso oggi suggeriscono l’uso del materiale laterizio?

L’architettura è l’arte di abitare la Terra. Fare architettura è muoversi all’interno della sfera umanistica più che tecnica; in 40 anni mi sono occupato di quasi tutto cercando di non perdere mai di vista l’uomo. I progetti sono sempre più tecnologici e il rischio è di non distinguere più il lavoro dell’architetto da quello dell’ingegnere, dello specialista. Continuo a ripetere che la differenza tra architetto e ingegnere, due figure assolutamente complementari e parimenti importanti, e che di fatto progettano assieme, è tuttavia sostanziale perché si occupano di campi diversi. L’ingegnere da specialista si occupa di “cose”: edifici, strade, piazze, oggetti… L’architetto non può essere specialista occupandosi dell’enorme complessità della vita nella natura, nei suoi cicli, in un ecosistema sempre più fragile. Amare e ammirare la natura mi ha aiutato a fare una differenza tra tecnica e tecnologia: la tecnologia è invenzione umana e dura il tempo di arrivare all’invenzione successiva; la tecnica ci è insegnata dalla natura, nasce dall’uomo che copia la natura, la usano gli uccelli, i pesci, gli insetti per costruire il loro nido e l’uomo continua ad affinarla migliorandola. Allo stesso modo ho imparato e insegno ai miei studenti e collaboratori che occorre distinguere concetti quali efficacia e efficienza: efficienza energetica, per esempio, è tenere chiuse le finestre e ricorrere a meccanismi artificiali per bilanciare l’aria interna con quella esterna privandosi della relazione col fuori, efficacia significa aprire la finestra e fare entrare i profumi della primavera e dell’inverno. 
In questa logica il laterizio – in grado di bilanciare temperature, umidità, rumori – rimarrà sempre attuale; le sue caratteristiche fisiche sono molto più efficaci rispetto a materiali sintetici molto meno versatili ed eloquenti.

Alberto Ferraresi
Architetto libero professionista