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Stefano Boeri

Avanti con la rigenerazione

L’architetto Stefano Boeri (Milano 1956) è stato Assessore alla Cultura, Design e Moda del Comune di Milano; direttore delle riviste «Domus» e «Abitare»; è professore di Progettazione Urbanistica al Politecnico di Milano ed è stato Visiting Professor alle università di Harvard GSD, al Berlage Institute, all’Ecole Politecnique de Lausanne e allo Strelka Institute di Mosca.

Il volto della Milano degli anni ‘50 e ‘60 rispecchiava lo sviluppo della produzione industriale e mostrava architetture d’avanguardia; quello della fine del XX secolo si manifestava attraverso i successi ottenuti nel campo della moda. La città odierna appare invece venata di un internazionalismo nuovo, anche perché foraggiata da capitali e progettisti venuti da lontano.

Chiediamo a Boeri, che è stato assessore della Giunta municipale e ideatore del piano di insediamento di Expo 2015, oltre che direttore scientifico del festival di architettura Festarch e fondatore dell’agenzia di ricerca Multiplicity (tra i suoi progetti, la trasformazione dei waterfront di Genova, Napoli, Trieste, Cagliari, Salonicco, Mitilene; il progetto del Centre Régional de la Méditerranée a Marsiglia; la ristrutturazione dell’ex arsenale di La Maddalena; il modello di residenza sostenibile Bosco Verticale), che cosa pensa di questo imponente e prestigioso sviluppo della città e dell’idea che sta alla base di questa evoluzione.

Milano non è mai stata ferma, neppure quando, come è accaduto negli anni ‘80 o ‘90, non vi erano in campo grandi trasformazioni urbane. La verità è che Milano è sempre cresciuta e cambiata grazie a una somma di piccole trasformazioni, più che a grandi progetti urbani unitari. Basti ricordare quanto è successo negli anni ‘90 con l’improvvisa esplosione di sottotetti e sopralzi che – grazie a una modifica della normativa regionale – in pochi mesi ha visto i tetti della città ospitare quasi mezzo milione di metri quadri in più. L’equivalente dell’intero progetto Bicocca; che – va ricordato – fu l’unico grande progetto urbano unitario che Milano ha saputo promuovere tra gli anni ‘70 e il 2000. Poi con il nuovo millennio tutto cambia. Porta Nuova, City Life, Portello sono tre esempi di un modello di trasformazione urbana che arriva a Milano in grande ritardo, suscitando aspettative e perplessità. Oggi possiamo dire che Porta Nuova è stato un progetto di successo. Che non si è limitato a rispondere alle esigenze di una parte – certamente abbiente e limitata – della cittadinanza, ma ha offerto a tutti i milanesi una rete di collegamenti pedonali e ciclabili che prima era stata cancellata e una serie di spazi pubblici che oggi vengono frequentati con sorprendente intensità.

Anche i temi tipologici dell’architettura Milanese paiono essere cambiati negli ultimi anni: dalla questione dell’edilizia abitativa e sociale si è passati al tema del recupero e della ricucitura di grandi aree urbane, che ha sviluppato appunto esempi assai importanti come Porta Nuova, Porta Vittoria, il Portello; in sostanza i luoghi dove sono stati realizzati i progetti presentati in questa rassegna. Un tema, quello del recupero, che aspettava da lungo tempo di essere affrontato: può giudicare e descrivere gli strumenti e i principi con cui è stato alla fine risolto?

Non credo proprio sia stato risolto. È stato affrontato. Resta da risolvere il grande tema dei prossimi anni, quello di migliaia e migliaia di appartamenti e uffici e negozi vuoti, perché sfitti o invenduti. Un deserto urbano diffuso che toglie vitalità ai quartieri e toglie intensità di relazioni alla comunità urbana.

Un tema di recupero e rigenerazione che va affrontato con strumenti nuovi, come quello di un’Agenzia per la casa che sappia far incontrare le preoccupazioni dei piccoli proprietari e le aspettative di una domanda di case a basso costo.

In nome di un’apparente sostenibilità e innovazione, si privilegia spesso in architettura l’utilizzo di materiali talvolta inusuali, sperimentali, poco integrati nella tradizione costruttiva italiana, e che sembrano imporre tendenze più che assicurare funzionalità. In questo contesto, come ritiene possano riemergere i reali punti di forza di materiali come i laterizi, che da sempre rappresentano il «costruire» per antonomasia, essendo prodotti naturali senza tempo, espressivi di modularità, a basso impatto ambientale nell’intero ciclo di vita?

I laterizi sono una delle componenti fondamentali dell’architettura. Vanno usati per quello che sanno offrire, che è anche oggi moltissimo.

La presenza di sistemi in laterizio anche nei più recenti e rappresentativi edifici milanesi, sebbene non in tutti casi visibilmente riconoscibile dall’esterno, è la riprova di un’irrinunciabile attenzione verso l’edilizia di qualità, perseguibile solo grazie all’efficacie coesistenza di requisiti di sostenibilità ambientale, efficienza energetica (sia invernale che estiva), salubrità, durabilità, sicurezza e valenza architettonica. Quali mezzi legislativi, quali incentivi e promozioni culturali possono facilitare risultati affidabili e di riconoscibile qualità?

Certamente una regia forte e condivisa da parte dell’architettura che deve poter dialogare con le consulenze tecniche e governare, insieme agli altri responsabili del processo costruttivo, il cantiere.

Nella contemporaneità, la qualità in architettura può avere una molteplicità di facce: la qualità formale, sociale, tecnologica. Sicuramente solo l’affrontare nell’insieme questi aspetti consente di ottenere risultati indiscutibilmente apprezzabili. Come potrebbe essere migliorato il percorso formativo dei progettisti contemporanei?

Con una forte relazione con esperienze concrete di progettazione e costruzione dell’architettura. In Italia e all’estero. Gli studenti dovrebbero non fare solo stage, ma almeno un anno continuativo in uno studio professionale che permetta loro di conoscere le diverse fasi e le reali funzioni del mestiere dell’architettura. 

Infine una domanda, forse solo parzialmente pertinente con le questioni tecniche e culturali che appartengono alla progettazione architettonica: che cosa pensa Boeri della dilagante corruzione che investe la realizzazione di quasi ogni grande opera? Può essere garantita maggior trasparenza nell’assegnazione degli incarichi e nell’esecuzione delle opere adottando procedure che perseguano maggiormente la qualità architettonica e un ricorso più convinto alla selezione delle idee attraverso l’istituto del concorso di progettazione?

Mi pare che la nuova normativa sui bandi di appalto pubblico vada finalmente nella direzione giusta. Ma questo non basterà per risolvere la grande peste della corruzione, che ogni anno distoglie miliardi dal patrimonio pubblico del nostro Paese. 

Il 6 giugno, in cima alla Diamond Tower di Porta Nuova, abbiamo invitato centinaia di giovani tra i 15 e i 25 anni a parlare della Milano del 2030, quando loro avranno dai 30 ai 40 anni.Nessuno ascolta le aspettative, i progetti e le preoccupazioni di questa generazione a cui pure daremo in mano il governo del nostro futuro. La vera soluzione del problema della corruzione dilagante sta nel trasmettere a questi ragazzi un’etica del lavoro e una cultura della legalità. Credo che non ci possa essere occasione migliore per affrontare con questi giovani cittadini la grande piaga della corruzione. 

 

Roberto Gamba
Architetto libero professionista